Rassegna storica del Risorgimento
Italia. Araldica. Secolo XIX
anno
<
1997
>
pagina
<
398
>
398
Andrea Moro ni
L'avvento del fascismo modificò nuovamente il quadro di riferimento di questi scrittori che credettero di vedere realizzate le loro idealizzazioni circa rinnovati compiti di governo per il ceto nobiliare. Infatti, non solo si era affermato un regime che metteva fine alla democrazia liberale e che ripristinava un forte ordinamento autoritario, ma soprattutto fu lo stesso nuovo governo che prese l'iniziativa di andare incontro alla nobiltà. Non è certo questa la sede per affrontare un aspetto tanto complesso quale è quello dei rapporti tra regime fascista e nobiltà, ma non si può fare a meno di osservare come uno dei primi provvedimenti di Mussolini sia stato relativo proprio alla regolamentazione araldica e che in seguito il suo governo elargji con abbondanza nuovi titoli nobiliari.61) Se da parte del nuovo regime si riproponeva il tentativo di ottenere consenso anche attraverso gli antichi strumenti dei blasoni e degli stemmi, da parte di quei gruppi di personaggi che, attraverso le colonne dei giornali araldici o tramite i vari pamphlet pubblicati tra il 1870 e il 1914, avevano duramente attaccato il sistema liberale, cercando al tempo stesso di rivendicare un ruolo per la nobiltà, il nuovo sistema antidemocratico e gerarchico non poteva che riscuotere consensi Così, se da una parte si teorizzavano rinnovati compiti e nuove funzioni per la nobiltà, concepita ora come stirpe virtuosa in gra-
i punti di partenza delle analisi di questi scrittori Constatazioni che rappresentano ancora oggi l'avvio da cui muovono alcune riflessioni storiografiche sull'argomento (sì veda, ad esempio, A.M. BANTI, Note sulle nobiltà nell'Italia dell'Ottocento, in Meridiani, 1994, n. 19, pp. 13-27). Questi personaggi costruirono i loro progetti di rinascita aristocratica consapevoli di essere di fronte ad una situazione anomala, caratterizzata da un corposo fenomeno sociale non disciplinato normativamente dallo Stato. Al di là dell'aspetto anacronistico delle loro proposte e delle ricostruzioni storiche mitizzanti, la contraddizione tra il vuoto legislativo e l'esistenza del ceto e dei titoli era ben chiara a tutti e su questo fatto cercarono di inserirsi i progetti elaborati nell'ambito di questa letteratura araldica e genealogica.
) Cfr. G. RUM, La politica nobiliare del regno dltalia 1861-1946, in AA.W., 3Les noblesses européenes au XDCe siede, Università di Milano, Ecole Francaise de Rome, Roma, 1988, pp. 577-593. Il Regio Decreto riguardante la Consulta araldica porta la data dell'I 1 febbraio 1923, lo stesso presidente del Consiglio dei ministri assunse la carica di presidente della Consulta (cfr. ivi, pp. 581-582). A proposito della concessione di titoli durante il ventennio, Giorgio Rumi stima in un centinaio i nuovi nobili creati tra il 1861 e il 1878, 130 quelli creati da Umberto I e circa 100 quelli creati da Vittorio Emanuele HI tra il 1900 e il 1922; durante il periodo fascista i nuovi nobili furono più di 300 (cfr. ivi, pp. 584-585). G. C. Joctcau (Un censimento della nobiltà italiana cit, pp. 148-154) fornisce una stima diversa, ma va detto che la sua analisi si ferma alla data della pubblicazione del Libro d'Oro, ossia al 1934. A quell'anno le famiglie nobili censite risulterebbero diminuite rispetto ai dati ottenibili dagli elenchi regionali pubblicati tra il 1895 e il 1909 (da circa 8.400 a 7.750) e questo dato indurrebbe a ritenere che nei primi trentanni del XX secolo sia proseguito nel nostro paese il fenomeno di regressione numerica dei gruppi nobiliari tipico dell'età moderna e contemporanea (p. 149).