Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Araldica. Secolo XIX
anno <1997>   pagina <399>
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Pubblicazioni araldiche di fine Ottocento 399
do di fornire il personale amministrativo ai più elevati livelli (diplomazia, esercito, magistratura), dall'altra parte l'aristocrazia poteva vedere final­mente riconosciuta la propria superiorità sociale.
Così, ad esempio, in un libricino edito nel 1930 dal titolo Funzioni moderne della nobiltà, Fautore, dopo aver elogiato il fascismo per aver re­stituito dignità e vigore all'aristocrazia, elencava le strade attraverso cui la nobiltà avrebbe potuto rientrare nella vita della nazione da cui il liberali­smo l'aveva cacciata, ossia l'amministrazione delle proprie terre, la carriera militare, quella diplomatica e quella in magistratura.62) Altri casi sono ri-
*Q C. PELUZZARI, Funzioni moderne della nobiltà, edito dalla Rivista Araldica, Roma, 1930. In questo scritto i temi che abbiamo visto presenti in modo frammenta­rio negli autori di fine '800 sono ripresi e portati a ulteriori conseguenze. La conce­zione dello sviluppo storico della nobiltà è chiaramente funzionale ai compiti che fautore vorrebbe attribuirle al presente: nell'antichità questo ceto fu il patriziato diri­gente, nel medioevo la componente militare che difese la civiltà, con l'età moderna avrebbe dovuto tornare ad essere ceto dirigente, ma cosi non accadde e i secoli che seguirono il medioevo furono segnati dal conflitto tra monarchia e aristocrazia (p. 8). In Italia lo sviluppo fu reso particolare dal fatto che lo Stato nacque nel secolo libe­rale e furono gli stessi nobili ad aprire al liberalismo, ossia al nemico naturale della loro classe (p. 15). La storia italiana recente, dal 1870 al fascismo, si caratterizzava, secondo Pellizzari, dalla mancanza di autorità: gli intrighi parlamentari intralciano l'opera dei ministeri, cosi che gli uomini migliori il Cespi primo fra tutti eran presto costretti a ritirarsi [...] il dogma individualista del liberalismo ostacolante ogni riforma sociale in senso corporativo, e così originante la ribellione socialista, il domi­nio massonico ed ebreo-bancario ovunque incontrastato, erano ostacoli gravissimi a qualunque impresa feconda (p. 19). Causa di tutti questi mali fu la disorganizzazio­ne dell'aristocrazia . L'autore individuava quattro motivi per cui era necessario rivalu­tare la nobiltà. H primo era rappresentato dalla constatazione che la ricchezza non origina virtù. In secondo luogo, l'autore sosteneva che avrebbe dovuto esistere omo­geneità tra re e ministri: il re promulga le leggi, i ministri le applicano, il primo è causa, i secondi, mezzi; perciò i due avrebbero dovuto avere la stessa natura: se il potere reale era ereditario, avrebbe dovuto esserlo anche l'incarico di amministrarlo. Li terzo luogo, i sindacati corporativi e i lavoratori manuali non avrebbero potuto vedere e capire tutta la società, occorreva allora un corpo organizzato con funzioni direttrici e mediatrici; una forte aristocrazia politica, rappresentava così l'efficace baluardo alle eventuali future degenerazioni del sindacalismo integrale (p. 23). Infine la presenza di una forte nobiltà avrebbe evitato la perdita di altissimi valori morali Quindi la nobiltà avrebbe dovuto essere incoraggiata ad abbandonare l'ozio e a svolgere attivamente queste nuove funzioni direttive. In particolare per il primogenito nulla di meglio [...] che la vita da gentiluomo di campagna (p. 42), attività che non vieta al signore di assumere incarichi locali amministrativi e politici. I cadetti avrebbero dovuto intra­prendere k attività nell'esercito, nella diplomazia e nella magistratura, tre manifesta­zioni d'una funzione sola, prerogativa dell'aristocrazia nelle sue origini cavalleresche, la difesa dello stato contro i pericoli e le insidie esteme e la tutela suprema dell'ordine intemo (p. 42). Con ciò, precisava l'autore, non si voleva tornare alle società sette­centesche, ma sostituire alla presunta diseguaglianza democratica, l'apparente disegua­glianza aristocratica che è eguaglianza secondo natura e pertanto vera (p. 44). Dun­que in questo autore il processo storico della nobiltà era visto in termini non diversi