Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Araldica. Secolo XIX
anno <1997>   pagina <404>
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404 Libri e periodici
quanto, pur dando rilievo alle vicende Irlandesi, l'analisi si sofferma sull'articolato ma omogeneo sviluppo insulare di Inghilterra, Scozia e Galles. Egli richiama inoltre l'attenzione sulla terminologia da lui usata neU'afrrontare temi come il costruzioni-vismo (quale tentativo di ricostruire la società attraverso le riforme, promosse dalla Stato, delle strutture socio-economiche) o come il collettivismo (in quanto ideo­logia che ripone fiducia nell'aumentata proprietà statale e nel controllo dell'econo­mia nell'interesse di un gruppo, di vari gruppi e della società intera).
Nella parte introduttiva, egli dichiara anche il motivo che lo ha spinto a dedi­care aU'isola reale, quasi contrapposta all'isola di Utopia, il suo lavoro: porre in primo piano il tradizionale primato inglese per la libertà sulla democrazia. La pecu­liarità della presenza britannica in Europa emergerebbe, secondo l'autore, dalla dif­ferenza con la quale, rispetto ai paesi del continente europeo, si è sviluppato l'Ulu-minismo in Gran Bretagna; tale sviluppo non comportò una critica radicale al sistema in nome di una astrattezza razionalistica (in Inghilterra già durante il Sei­cento Passolutismo era finito e anche i rapporti tra Chiesa e Stato risolti con VUni-jòrmity j4ct del 1662), ma confermò la validità di una cultura di governo fondata su criteri empirici e pragmatici. In tale chiave si spiega quello che sembra essere il re­troterra culturale di un processo di graduale avvicinamento al riformismo e alla democrazia nel secolo XIX come adattamento della nazione alle nuove condizioni sociali, inglobando nuove forze, quelle più responsabili, nel governo del Paese. Dal venir meno di questo processo sembrerebbe trarre alimento il progressivo declino della Gran Bretagna sul piano intemo e internazionale.
Ma la tesi del libro non viene ostentata quasi a manifesto; il lettore è spinto a rintracciarla nella narrazione, quasi nel corso stesso degli eventi presentati. Emerge allora una scansione interpretativa che vede due versanti contrapposti della storia britannica, che hanno il loro punto di sutura e di frattura nell'età edoardiana. Nel primo periodo predomina uno Stato burkeiano, in cui prevale il tentativo di una regolazione armonica della società, secondo il pensiero di Edmund Burke; nell'altro si afferma uno Stato segnato dal collettivismo , contro il quale gli ultimi governi conservatori hanno combattuto una battaglia puramente ideologica.
Non che nello Stato burkeiano mancasse la percezione di una ampia opera di riforme. Dopo Waterloo, vigeva ancora in Gran Bretagna una costituzione non scritta, una raccolta di istituzioni e leggi che attingevano alla consuetudini stabilite nel corso del tempo, dalla Magna Charta del 1215 alla gloriosa rivoluzione del 1688. La necessità di alcune riforme era dunque condivisa da tutti e il conflitto era semmai sulla sua ampiezza: dopo Giorgio IV e Guglielmo IV, tutt'altro che stabili e apprezzati sovrani, esse presero gradualmente avvio nell'età della regina Vittoria (dal 1837 al 1901). Toccò al governo del conservatore Peel, negli anni Quaranta dello scorso secolo, reintrodurre l'imposta sul reddito, vietare il lavoro di donne e bam­bini in miniera e limitarne l'orario nelle industrie tessili, togliere i dazi doganali sul grano, procedere alla riforma della Banca d'Inghilterra.
Si consideri, inoltre, l'evoluzione del sistema elettorale: solo nel 1885 esso venne reso uniforme in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord; solo dopo il 1872 ai ebbe il voto segreto e soltanto nel 1918 fu reso obbligatorio lo svolgimento delle elezioni in un unico giorno. Tra il 1832 e il 1884 la grande maggioranza dei collegi elettorali non era uninominale, ma inviava due rappresentanti a Westminster. Ancora nel 1859 il 57 dei seggi della Camera dei Comuni era riservato a collegi incontestati, dove i candidati presentati erano corrispondenti ai posti assegnati al collegio. Solo verso il Novecento si potè assistere a una maggiore competizione, sollecitata dal sorgere degli uffici centrali delle associazioni politiche. Fino al 1870 il sistema, insomma, procedeva a riformarsi in una sostanziale stabilità e coesione: anche la crescita della burocrazia, apparve necessaria non per sostituire il localismo della polis britannica, ma per mettere ordine nella sua confusione senza turbare il modello generale.