Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Risorgimento. Storiografia. Secolo XX
anno <1998>   pagina <4>
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Rosario Romeo
scete e da indagare col senso di quanto tuttora lega ad essa la presente realtà italiana, ma anche col distacco che inevitabilmente ci divide dal passato che si è fatto storia. In effetti, il dibattito era stato alimentato, durante il fascismo, dalla contrapposizione fra chi si richiamava al Risorgi mento come fatto, essenzialmente, di libertà, e chi invece vi scorgeva anzitutto un fatto di nazionalità e di potenza. Nei primi vent'anni dopo il 1945 al centro della discussione era stato soprattutto il contrasto suscitato dalla visione del Risorgimento come rivoluzione incompiuta, che rinviava ad altre e future rivoluzioni ancora da compiere sotto la guida dei partiti di sinistra. Molti di noi, anche se non tutti, dichiarò alcuni anni più tardi (1975) Umberto Terracini, che del gruppo dirigente comunista nel periodo della Liberazione fu uno degli esponenti maggiori erano convinti che lo slancio delle masse era tale da rendere certa e prossima raffermazione del socialismo, e di conseguenza la trasformazione delle strutture economiche e sociali. La visione di un'Italia bloccata sulla via del mondo moderno dalle sue contraddizioni interne, qual'è in fondo quella che discende da una lettura ortodossa della interpretazione gramsciana della storia dltalia, por­tava infatti a concludere che dal vicolo senza uscita del passato si poteva venir fuori solo con la instaurazione di una nuova storia, atta a infrangere i condizionamenti della tradizione e a porsi come nuovo principio e nuovo cominciamento.
Ma già ai primi degli anni Sessanta il massiccio esodo dalle campagne, e il trasferimento di milioni di contadini dal Sud al Nord della penisola relegavano fuori della realtà ogni ipotesi rivoluzionaria fondata, come quella di origine gramsciana alla quale si ispirava la strategia del partito comunista italiano, sull'alleanza dei contadini del Sud con il proletariato industriale della pianura padana. Ne derivò, nella cultura di sinistra, quella revisione della strategia politica di ispirazione meridionalista e gramsciana che doveva sboccare qualche anno dopo nella politica più ortodossamente proletaria e rivoluzionaria auspicata dai gruppi dell'estremismo sessantottesco. H male che il meridionalismo può aver fatto al movimento operaio nel suo com­plesso è difficilmente calcolabile scrisse allora uno degli mteUettuali di punta di quel movimento, Alberto Asor Rosa. Tutta la tematica collegata alla mancata rivoluzione agraria veniva in tal modo privata di gran parte della sua incidenza e del suo significato politico ai fini della determinazione della politica delle sinistre di ispirazione marxista; e alcuni anni dopo la politica del compromesso storico, proposta alla fine del decennio 1970-80 in vista della costruzione, in Italia, di una comunità civile avanzata, e anzi la più avanzata nell'Europa occidentale o addirittura in tutta l'esperienza democratica europea, comportava implicitamente l'ipotesi, di carattere opposto, che l'Italia recente avesse realizzato nel suo sviluppo tanto di positivo da consentire che un esperimento di così grande respiro potesse