Rassegna storica del Risorgimento
Italia. Risorgimento. Storiografia. Secolo XX
anno
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1998
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pagina
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9
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Il Risorgimento nel dibattito contemporaneo
Cavour e di Garibaldi appaiono ridotti, e che invece acquista maggiore rilievo la parte di Minghetd o Lanza, per non parlare di Vittorio Emanuele. Riflessi dei dibattiti del passato e nuove e più moderne formulazioni dei vecchi punti di vista sulla storia del Risorgimento si scorgono del resto anche nei lavori più recenti sulla storia del periodo unitario, inevitabilmente condizionati in larga misura dal giudizio sulla conclusione e i risultati del processo di unificazione. Si consideri ad esempio la Storia d'Italia dall'Unità ad oggi di Giampiero Carocci L'autore fu, com'è noto, tra i più convinti sostenitori delle tesi gramsciane sul Risorgimento, e nel suo Depretis e la politica interna italiana cercò di illustrare con una dettagliata ricerca una interpretazione del periodo caratterizzata dalla insistenza sui caratteri reazionari della classe dirigente liberale, il cui sforzo di repressione dei movimenti popolari e delle tendenze più aperte al progresso economico e civile del paese costituirebbe il vero filo rosso che lega tutte le successive fasi di quella storia. Ma, a distanza di vent'anni, di questa posizione non v*è quasi più traccia. Nella sua Storia d'Italia dopo l'unità Carocci è pur sempre fedele all'insegnamento gramsciano, ma da Gramsci egli riprende adesso soprattutto il concetto e il problema dell'egemonia, per indicare nella difficoltà dei ceti dirigenti a dar vita a un autentico partito conservatore e anzi a esercitare una efficace direzione della società italiana il nuovo e più vero filo rosso della storia della penisola. Di questa ricostruzione si potranno discutere i colori e le varie accentuazioni: ma certo non v'è più traccia del concetto della mancata rivoluzione agraria come concetto operativo. L'ipotesi della rivoluzione agraria è bensì ricordata ma solo in astratto (dice il Carocci), e limitatamente alle sole regioni meridionali. E anche entro questi limiti l'autore precisa che ciò era problematico perché (la situazione ricordava quella della Spagna) le terre appartenevano non solo alla nobiltà ma, in simbiosi con questa, anche alla borghesia e alla nobiltà imborghesita, che fornivano il grosso delle forze liberali.8) Dichiaratamente gramsciana anche l'ispirazione della Italia liberale di Raffaele Romanelli.9) Ma anche qui tale ispirazione si limita a sottolineare problemi e arretratezze della società italiana, da discutere in termini di analisi concreta dei dati, ma al di fuori, di ogni suggestione di alternativa rivoluzionaria, che viene anche abbandonata negli aspetti utilizzabili ai fini di una indagine più incisiva del meccanismo di sviluppo economico. Alle tesi gramsciane rende largo omaggio, in sostanza, anche uno studioso di dichiarata professione radicale, inteso tuttavia a
9 GIAMPIERO CAROCCI, Agostino Depretis i la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino, Einaudi, 1956; Io., Storia d'Italia dall'Unità ad oggi, Milano, Feltrinelli, 1975. La citazione è alle pp. 16-17 di quest'ultimo lavoro.
RAFFAELE ROMANELLI, L'Italia liberal (1861-1900), Bologna, Il Mulino, 1979.