Rassegna storica del Risorgimento
Italia. Marche. Storia militare. Secolo XIX
anno
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1998
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pagina
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71
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Libri e periodici
tesi di idealismo ma come sinonimo di capacità politica, di conoscenza della realtà circostante e della conseguente volontà di modificarla non risalga in qualche misura anche alla volitiva e tenace nonna patema?
I rapporti tra Gustavo e Camillo arricchiscono, di molto, la conoscenza dei comportamenti, delle abitudini, delle sofferenze del fratello minore, accusato nel 1856, secondo le tarde testimonianze di Ruggero Gabaleone di Salmour, di sperperare il patrimonio familiare in gran parte a causa di esigenze legate alle sue cariche politiche.
Da questo episodio, di per sé certo di non grande significato, Pischedda trae spunto per cogliere un momento delicato della famiglia Cavour e per aprire il discorso su una tematica più vasta che, al di là della temporanea crisi tra i due fratelli, riguarda i caratteri della nobiltà piemontese del periodo, dei suoi valori e della sua mentalità, e, più in generale, i problemi della famiglia del primo Ottocento.
Nel contrasto tra i due fratelli emergono diversità politiche profonde: ad esempio la prospettiva di una guerra, preparata e attesa da Camillo, atterriva invece Gustavo il quale non nascondeva la sua diffidenza nei confronti degli italianissimi, i liberali emigrati dalle altre regioni italiane e accolti generosamente in Piemonte. Al terrore per il profilarsi di un conflitto si accompagnava in Gustavo lo spettro di una rovina finanziaria totale che avrebbe obbligato lui a finire in un ospizio e condannato alla miseria il figlio Ainardo, poco più che ventenne. Camillo, pur consapevole del ruolo che giocava in queste fosche previsioni la malattia che aveva colpito il fratello maggiore alla fine del giugno del 1856, cercava di tranquillizzarlo con l'esposizione della situazione finanziaria che prevedeva per la fine del 1857 un utile netto di 120.000 lire, equivalente ad un interesse di un capitale calcolato in circa 2 milioni e mezzo.
Pischedda dimostra una grande padronanza nella lettura dei bilanci, del regolamento amministrativo e di vari documenti legati alla gestione del patrimonio dei Cavour. Questa attenta lettura rivela una particolare conoscenza dei problemi economici e sociali piemontesi, di cui Pischedda aveva da tempo dato prova, a partire dagli armi Sessanta, nella organizzazione di importanti ricerche volte a ricostruire, sulla base di una ricchissima documentazione archivistica, le varie alienazioni di beni ecclesiastici in Piemonte nel secolo XIX o a lumeggiare la vendita dei beni nazionali in Piemonte o l'alienazione dell'asse ecclesiastico nell'ultimo quarantennio del secolo.
L'esame dei bilanci familiari ci chiarisce la situazione patrimoniale dei fratelli Cavour a metà 1856: un valore lordo di oltre 7 milioni, costituito per il 95 da ricchezza fondiaria e per il 5 da beni mobili (azioni di società ferroviarie, assicuratrici, industriali e titoli di stato), e ci documenta la liberazione da un vecchio debito estinto in undici anni di oculata gestione patrimoniale, ma soprattutto riesce a darci un quadro documentato della vita amministrativa di una famiglia nobile piemontese.
Una diversa generazione è al centro dell'ultimo saggio del volume, quello dedicato a Carlo Alfieri, nipote acquisito di Camillo, che in seconde nozze sposò Giuseppina figlia di Gustavo Cavour. Carlo Alfieri non ha suscitato finora grande interesse negli storici che lo hanno ricordato soprattutto per aver dedicato al padre Cesare l'Istituto di scienze sociali di Firenze, oggi Facoltà di scienze politiche, anche se la sua figura può presentare diversi aspetti meritevoli di indagine. Ad esempio, i suoi interventi in Senato, nella discussione del disegno di legge sul trasferimento della capitale a Roma, non furono certo privi di significato. Fu Carlo Alfieri, infatti, che sottolineò la necessità di esplicitare l'incompetenza dei poteri politici in