Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Marche. Storia militare. Secolo XIX
anno <1998>   pagina <76>
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76 labri e periodici
Depretis, salendo alla guida del Governo, mantenne significativamente il mo­dello minghettiano, e conservò per sé il dicastero delle Finanze: esempio di conti­nuità istituzionale che si riverberò anche come continuità sul piano della politica tributaria. Le modifiche apportate furono di scarso valore, quali l'aumento della tas­sazione su zucchero, caffè, cioccolato, pepe e cannella. L'aumento delle entrate a tassazione costante consolidò l'avanzo di bilancio, ed era quanto Depretis si ripro­metteva di fare. L'idea di Depretis di far proprio il motto di Minghetti evoluzione, e non rivoluzione non potè durare a lungo. La Sinistra storica non era così com­patta come era stata la Destra storica degli anni dell'emergenza, e il programma di una Sinistra prudente che, profittando delle manchevolezze della Destra, governava come questa avrebbe dovuto fare, non era tale da accontentare le sue componenti più avanzate.
Marongiu analizza il trasformismo, la formazione della Pentarchia, le posizioni di Bertani; correla le divisioni inteme alla Sinistra alle posizioni espresse in politica estera: appare chiaro che in tale contesto era pressoché impossibile trovare un ac­cordo su una politica di investimenti di ampio respiro, alla quale destinare gli avan­zi di bilancio, con ricadute positive sul piano fiscale a medio-lungo termine. Non fu neppure facile trovare l'accordo sulle tasse da tagliare, e le vicende connesse all'abolizione della tassa sul macinato sono emblematiche al riguardo, con quel lungo contrasto Camera-Senato che minacciò di sfociare in una crisi istituzionale di im­prevedibile gravità.
Marongiu analizza con altrettanta cura anche quello che può considerarsi il maggior successo di Depretis, l'abolizione del corso forzoso. La lira veniva ad ac­quistare forza proprio nel momento in cui la crisi politica internazionale dava luogo ad una crisi economica di vasta portata, con il conseguente inizio della svolta pro­tezionista. Il ciclo economico negativo viene spesso portato a giustificazione del mancato sviluppo di una politica organica di ampio respiro da parte della Sinistra storica, ma in realtà appare più verosimile pensare al difetto strutturale insito nelle divisioni della classe dirigente, incapace di trovare una sua anche parziale compat­tezza di fronte ad un fenomeno che non poteva certo dirsi imprevedibile. E qui Marongiu, forse con eccessiva severità, attribuisce pesanti responsabilità ad Agostino Magliani, per tanti anni responsabile delle Finanze, sia nell'età di Depretis che in quella crispina. Magliani non era certo Sella, e non ebbe mai l'autorità di partecipare come controparte alla definizione degli indirizzi economici dei diversi Governi cui partecipò. Volle tare il ministro tecnico del resto, in tale ruolo era stato sempre chiamato al Dicastero finanziario e non usd mai dalle funzioni attribuitegli, nemmeno quando la situazione avrebbe meritato quanto meno un grido d'allarme. Non prese decisioni e le subì, facendo del suo meglio per allinearsi agli indirizzi dominanti di politica generale, ma sarebbe erroneo attribuirgli colpe che in definitiva non furono sue. Non fu certo Magliani ad investire in spese militari e ferroviarie improduttive.
Il periodo Crispino è analizzato da Marongiu forse con eccessiva sinteticità. Appare sottaciuto lo sforzo di ammodernamento amministrativo compiuto dallo Statista siciliano. L'A. analizza invece con cura le sue contraddizioni in ambito eco­nomico, come espressione del suo appena velato disinteresse per le questioni finan­ziarie. La narrazione termina con le due sconfìtte più gravi del Presidente del Con­siglio; il corso forzoso ed Adua.