Rassegna storica del Risorgimento
Italia. Roma. Iconografia. Secolo XIX
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1998
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522 Libri e periodici
gli artigiani ed il sottoproletariato urbano in una lotta impari contro l'invasore francese appoggiato dalle élites locali La mobilitazione massista aveva come obiettivo la salvaguardia dell'equilibrio garantito dalla dinastia e insidiato dai giacobini, grazie al quale il mondo comunitario dell'armentizia era fino ad allora riuscito a sopravvivere. Attraverso le vicende del 1799, perciò, secolari contrasti conferirono agli insorgenti una connotazione anticittadina piuttosto che antifeudale. Il movimento, tradizionalistico nelle procedure e nella simbologia, perseguiva tuttavia un risultato poco meno che eversivo, proprio perché poneva in discussione il ruolo egemonico che la borghesia proprietaria e individualista giacobina stava cercando di affermare.
Nell'ambito della solida linea interpretativa finora delineata, acquista un rilevante spessore anche il discorso in contrappunto fra tradizione e scandalo come inquadramento d'insieme delle reazioni psicologiche popolari in Abruzzo dinanzi alla rivoluzione. Questo contrappunto si struttura intorno alle inaugurazioni, da parte degli innovatoti, e agli abbattimenti, ad opera delle masse sanfediste, degli alberi della libertà. E, ancora, si manifesta nei pranzi repubblicani dove nota Colapietra un netto solco divideva pur sempre i signori giacobini che contemplavano gli spettacoli e la moltitudine che veniva portata a riempirsi il ventre e a ballare. Tutto questo mentre, all'ombra del tricolore francese, era imposta con la forza la ragione dell'individualismo agrario e dell'usurpazione privatistica contro il comunitarismo pastorale e la sfrenatezza plebea. Se la mobilitazione delle masse sanfediste suscitò nella borghesia illuminata orrore e sconcerto, ciò dipese dal fatto che grazie ad essa si erano potuti largamente diffondere nei ceti popolari, con la mediazione frequente degli ecclesiastici, germi di sovversione sociale. Là repressione operata dall'esercito francese avrebbe, peraltro, smentito la retorica libertaria degli intellettuali giacobini, mostrando l'autentica natura dello scontro.
FILIPPO RONCHI
MARINA CATTARUZZA, Trieste nell'Ottocento. Le trasformazioni di una società civile (Civiltà del Risorgimento, 38); Udine, Del Bianco, 1995, in 8, pp. 219. L. 30.000.
Nella raccolta di saggi di Marina Cattaruzza Trieste nell'Ottocento. Le trasforma-'oni di una società civile* edita da Del Bianco Editore, ho colto il tratto atìpico della storia triestina rispetto a quella nazionale, perché nella Venezia Giulia sono presenti soprattutto Italiani e Sloveni, gli uni a fianco degli altri, a modo di una babele di genti di fedi e di costumi diversi1) Anche nella recente ricerca della Cattaruzza individuo la peculiarità di un passato, di cui gli elementi essenziali sono riconducibili al divenire particolare della terra giuliana, nei secoli XIX e XX. Il suo studio è un contributo ulteriore ed esaustivo della più che valida storiografia di argomento triestino, per solito attenta nell'individuare e tratteggiare le fondamentali linee di evoluzione storica delle terre orientali d'Italia, di modo che oggi noi meglio partecipiamo al cammino di quelle terre, dai secoli addietro fino alle soglie del Novecento; cosi ora possiamo pure valutare, in maniera oggettiva e razionale, i molteplici
9 CAROXUS L. CERGOLY, Il complesso dell'Imperatore. Collages di fantasie e memorie di un mitteleuropeo* Milano, 1979, p. 56.