Rassegna storica del Risorgimento

Stato pontificio. Civitavecchia. Secoli XVIII-XIX
anno <1999>   pagina <62>
immagine non disponibile

62
Luciano Nasto
attuati dai vari papi sin dal '600, comprendevano solo relativamente i bagni penali.
La fondazione della fabbrica delle cottonine voluta da Pio VI rappre­sentava soltanto un tentativo, che poi fu esteso ad altri bagni, di sfruttare le braccia altrimenti inoperose dei servi di pena. Nei regolamenti e nelle difettive emanate dalle autorità dello Stato pontificio mancano accenni ad una qualche forma di quello che noi chiameremmo recupero sociale o inserimento, nemmeno compare quella pedagogia, così viva e operante a quel tempo, tesa a far sì che la persona rinchiusa fosse educata al lavoro. Tuttavia questo mondo separato, ancora poco esplorato e conosciuto, pare fosse provvisto di un suo proprio equilibrio e di una logica interna. Pur tenendo presente i periodici tentativi di fuga, si deve pensare che molti forzati non riuscivano neppure a concepire una vita diversa da quella che avevano condotto per anni Molti, come accennato, divenivano bona-volontà, altri si ritenevano soddisfatti dello status di agozzini, i più, termi­nato il periodo di detenzione, tornavano a rubare e periodicamente erano catturati e condannati di nuovo. Il saluto che scambiavano coi compagni il giorno dell'uscita dal bagno penale era un eloquente Au revoir.l8> Uno dei testimoni dell'ammutinamento e della spettacolare fuga del 1793, il corso Antonio Savarelli, durante il processo e quindi sotto giuramento, dichiarò di essere imbarcato quale sotto agozzino da 20 anni. Dopo qualche tempo, scontata la pena, si era trasferito ad abitare in una casa di Civitavecchia [sulla] terza strada. Fare il sotto agozzino poteva dunque divenire un mestiere praticabile come un altro; l'uomo, dopo anni di servizio forzoso, nativo di una terra lontana con la quale presumibilmente non aveva più legami, si era stabilito nelle vicinanze del porto per continuare la vita di sempre.19)
Quanti potevano essere gli uomini che avevano scelto questa soluzione e quali erano i rapporti tra gli abitanti di Civitavecchia e i forzati del bagno penale? E difficile rispondere alla prima domanda, si può abbozzare però una risposta alla seconda. Per quanto anche i civitavecchiesi considerassero i condannati come persone giunte all'infimo grado della scala sociale, forse per la mancanza di un efficace sbarramento, come può essere ad esempio un alto muro, tra le due comunità non erano assenti i rapporti. Si svolge­vano, come abbiamo accennato, piccoli commerci, dovuti certamente alla convenienza reciproca; qualche forzato riusciva ad andare ad abitare in
8) C. CALI5SE, op. cit.y voL II, p. 549.
,9) ASR, Tribunale penale di Civitavecchia, atti penali, b. 671 bis, testimonianza di Antonio Savarelli.