Rassegna storica del Risorgimento
Italia. Storia politica. Secolo XIX
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1999
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361
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La Repubblica Romana e le carie dell'Archivio Segreto Vaticano 361
spondenza ufficiale di Gaeta parli più volte delle bande garibaldiane in senso dispregiativo: sarebbe interessante da un punto di vista puramente filologico analizzare quando tra i due termini, garibaldiani e garibaldini, quest'ultimo abbia finito per prevalere sul primo, usato abitualmente dal Bresciani.
Non mancarono a Roma tentativi antirivoluzionari. Un certo Luigi Carlo Leonardi, impiegato del Monte di Pietà, confidò le sue idee a varie persone. Si pensava di arrestare i triumviri, i costituenti, i capipolo. L'impresa sembrava possibile perché concepita quando non erano ancora affluite nella capitale tutte le forze garibaldine, né i bersaglieri lombardi del Manata, né altri emigrati. Una parte delle truppe sembrava favorevole al tentativo. Si dovevano occupare le porte della città, Castel S. Angelo, il Pincio, alcuni quartieri (il manoscritto usa questa parola). Gli arrestati sarebbero stati tradotti a Castel S. Angelo, o in una prigione di Trastevere. La sommossa doveva scoppiare il giorno di Pasqua, che quell'anno cadeva F8 aprile. Ma il 5 aprile alle due di notte il Leonardi venne arrestato, e portato al carcere del S. Ufficio, dove si trovavano già altri sei, indicati per nome. Leonardi rimase in carcere sino all'arrivo dei francesi, il 5 luglio. H racconto del Leonardi sembra sincero, ma lascia vari dubbi. L'ideatore, modesto impiegatuccio, non aveva nessuna preparazione, né ammiriis arativa, né politica, né tanto meno militare. Aveva parlato con troppe persone, non solo con qualche parroco, e con un certo marchese, Giuseppe Longhi, ma
Nunziatura di Lucerna, 235), secondo cui sarebbero stati posti ad esecuzione il decreto di abbattete e fondere le campane, e il di 16 / marzo 1849/ alcuni commissari del sagrilego governo tolsero le argenterie personali di Sua Santità, tanto di chiesa come di casa e le portarono alla zecca per ricavarne moneta. Più attendibile sembra la relazione del card. Della Genga (uno dei cardinali del triumvirato rosso) del 31 gennaio 1850 (ASV, Archivio Pio DC, Oggetti Vari, n. 507): L'abuso delle sacre pissidi e de' sacri vasi in S. Croce di Gerusalemme non potè neppure effettuarsi perché di costà furono al tempo e cautamente asportati i detti vasi, e le sacre particole si collocarono precisamente nella basìlica di S. Giovanni Sta però in tatto che nella pietra consacrata del maggior altare i civici mobilizzati vi pestarono il sale e quindi la spezzarono. Si portò egualmente in quel monastero dai militi ivi alloggiati in numero di circa 700 un povero campagnolo, ucciso con una palla nel petto, disteso su una scala, colla quale per barbaro gioco vi fecero l'altalena. Una giovane puranco fu presa in quei dintorni e nell'orto attiguo ne abusarono orribilmente, nulla curando le di lei grida; ma non costa ancora chi essa fosse, sebbene si ritenga per certo non essere stata uccisa né avere nelle sevizie lasciata la vita. Certamente la situazione romana di quei mesi non fu cosi tranquilla come alcune affermazioni di ieri e di oggi indurrebbero a pensare. I soldati della Repubblica Romana del 1849 si comportarono probabilmente come molti soldati in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Tuttavia la Roma 1849 non fu Parigi de La Comune, né si devono prendere alla lettera le pagine del Bresciani