Rassegna storica del Risorgimento
Italia. Storia amministrativa. Secolo XIX
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2000
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Martina Mffletì
universitario per via legislativa. Vista dall'interno l'istruzione non sembrava tanto bisognosa di leggi nuove quanto dì un'amministrazione buona, prudente, severa e insieme serena.
Le continue novità, spiegava D'Ovidio interpretando un sentimento diffuso, apparivano dannose a una istituzione così complessa e delicata, la cui esigenza, affermava, non era tanto quella d'essere riformata radicalmente, quanto quella di acquisire una rispettabilità che nasce dal tempo e dalla tradizione. Se le riforme erano percepite come nient'altro che un elemento di perturbazione nella vita di chi desiderava dedicare le proprie energie intellettuali alla ricerca e all'insegnamento,81) questo era tanto più vero per una riforma come quella di Baccelli che, mentre ampliava i margini di libertà e di autogoverno delle università, gettava sui professori una somma di responsabilità .
Paradossalmente, uno dei più importanti tentativi volti a mettere fine alla burocratizzazione della figura del docente attraverso una maggiore flessibilità del sistema universitario e che dava una prima importante risposta a quanto già Villari e Cattaneo avevano individuato come il problema centrale dell'istruzione universitaria, incontrò uno dei principali ostacoli proprio nei docenti. I quali sembravano non volerne sapere di dovere impiegare il proprio tempo a gestire la vita degli atenei in tutti gli aspetti amministrativi, disciplinari oltre che didattici e di dovere mettere a repentaglio la sicurezza economica per il bene della scienza. Tutte quelle rivendicazioni di libertà maggiori che da tempo erano state al centro di dibattiti e di rivendicazioni si scontravano qui con un'autonomia che molti non esitavano a definire sconfinata alla quale era preferibile il legame di dipendenza delle università dallo Stato e il reclutamento dei professori tramite concorso nazionale, che più che un senso di oppressione davano garanzie di sicurezza.
In sostanza, il tentativo di plebiscito portò alla luce un cortocircuito tra due opposte concezioni della libertà accademica. La prima, quella del ministro e dei suoi sostenitori, associata ad una concezione liberista intesa come libertà di circolazione, ed aveva i principali riferimenti in scuole elitarie come l'Istituto di scienze sociali di Firenze L'altra idea di libertà accademica, invece, era intesa come libertà corporativa contro l'ingerenza del potere centrale, tesa a mantenere intatte prerogative economiche e di status. Un'idea di libertà insomma che, posta di fronte all'autonomia concepita da Baccelli, non poteva che risolversi in una difesa dello stata quo.
Essi desiderano andate avanti come ora; in fondo fanno quello che vogliono, godendo della maggiore libertà, ma iii certi casi amano di avere sopra di loro il
*') Cosi F. D'Ovidio in II plebiscito dei professori, in La Rassegna, 28 gennaio 1884.