Rassegna storica del Risorgimento
STATO ; MANIFESTO
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2000
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pagina
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603
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Libri e periodici 603
per la storia del Risorgimento italiano (Biblioteca Scientìfica, Serie II: Fonti, voi. LXXXVIII) e Archivio Guido Izzi, 1999, in 8, pp. 468. L. 50.000.
Il volume di Giuseppe Clemente è il frutto di uno straordinario impegno di ricerca storico-archivistica, che ha comportato l'analisi e lo studio di parecchie centinaia di documenti in archivi pubblici e privati, locali e nazionali, che hanno portato alla redazione di 1.062 schede di regestazione documentaria e di un'accuratissima anagrafe dei briganti dauni. Per la prima volta, quindi, grazie al lavoro del Clemente, gli studiosi hanno a disposizione il quadro, pressoché completo, dello stato delle fonti sul brigantaggio postunitario in Capitanata. E ciò assume un'importanza non meramente locale, perché, com'è noto, la provincia di Foggia ebbe un ruolo di primissimo piano in quelle drammatiche vicende.
Nel 1861 la grande pianura del Tavoliere pugliese si presentava ancora per larghi tratta spopolata e deserta, percorsa dalle greggi transumanti dell'armentizia abruzzese e punteggiata qua e là dalle masserie della grande proprietà latifondistica. Pessime erano in genere le condizioni di vita e di lavoro nelle riarse ed aridissime terre dei Tavoliere. A parte i pastori, la scarsa popolazione era prevalentemente costituita da terraqgani, braccianti miseri ed abbrutiti, e dalla plebe numerosa dei mietitori, lavoratori stagionali che scendevano periodicamente in Puglia dai loro paesi del Subappennino, del Molise, delTIrpinia, della Basilicata, e sin del Salernitano e del Cilento.
Terra di sradicati e di passaggio quant'altra mai, il Tavoliere si prestava in maniera ideale al brigantaggio, specialmente ad opera delle grandi bande a cavallo, che, mobilissime ed audaci, ovunque trovavano, negli stazzi dei pastori come nelle masserie isolate, provviste, rifornimenti, informazioni e nuove reclute, riuscendo ad agevolmente eludere e prevenire le mosse delle forze repressive, in genere arroccate nei centri abitati e quindi prive dell'effettivo controllo del territorio. Dalle inesplorate profondità del Vulture e del Subappennino, ricoperti di folti boschi d'alto fusto, era agevole per le grandi bande a cavallo lucane ed irpine scendere nella prossima pianura, dirigendo i loro fulminei rati verso il Tavoliere, le Murge baresi, la bassa valle delfOranto. Sotto la loro permanente ed incombente minaccia era una delle principali strade del Mezzogiorno, la via regia ielle Puglie, che dopo Ariano era costretta a risalire l'insidiosa valle del Cervaro e ad incunearsi nel famigerato Vallo di Bovino, da secoli uno dei punti caldi del banditismo meridionale. La rapina ai viaggiatori, ed in particolare al procaccio postale, costituiva una risorsa tradizionale per le frange criminali delle poverissime popolazioni del Vallo. Esposti ai colpi di un agguerrito ed organizzato brigantaggio, in grado di spingere le proprie puntate offensive assai in profondità ed a notevole distanza dalle sue basi strategiche, venivano così ad essere il principale asse viario, essenziale per il rifornimento cerealicolo di Napoli, ed una delle pia ricche zone agrarie del Mezzogiorno.
Né meno ardua e rischiosa era la situazione strategica della Capitanata nel suo saliente nord-occidentale, li dove essa s'incuneava nel Molise. Attraverso la valle del Fortore, il Tavoliere si apriva infatti alle grandi bande a cavallo molisane ed abruzzesi, mentre ad est, da Manfredonia alle foci del Fortore, su di esso incombeva il prò-