Rassegna storica del Risorgimento
STATO ; MANIFESTO
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2000
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605
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Libri e periodici
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Se l'importanza politico-militare del brigantaggio nel Tavoliere appare indiscutibile, l'attenta quantificazione che del fenomeno fa Clemente porta tuttavia ad un certo ridimensionamento, almeno dal punto di vista meramente quantitativo. In tre anni e mezzo (ma con una netta prevalenza del 1862), infatti, egli registra 72 omicidi, 17 ferimenti, 59 sequestri, 58 incendi dolosi, 228 furti, 68 estorsioni, più vari altri delitti minori, per un complesso di 555 reati. In quest'ambito si rileva la netta prevalenza del circondario di Sansevero, seguito da quelli di Foggia e di Bovino, il quale ultimo deteneva però il primato dei furti. In quanto alla dimensione numerica delle bande, Clemente elenca tra il 11861 e il 1864 1.459 nominativi, dei quali 1.172 (80,34) provinciali e 287 (19,66) provenienti da altre province. La cifra, pur considerevole, ridimensiona alquanto le presunte basi di massa del fenomeno brigantesco. Se, infatti, si confrontano i dati tra la popolazione della Capitanata e il numero dei briganti nati o residenti nella provincia, questi costituivano appena lo 0,33 delia popolazione locale, con maggiore rappresentatività percentuale del Gargano e del Fortore. Interessanti sono inoltre i dati che Clemente fornisce circa la composizione sociale delle bande. Dei briganti di cui si conosce l'attività, 583 erano contadini, 136 pastori, 41 artigiani, 22 guardaboschi, 12 trainieri, 9 possidenti e 2 sacerdoti.
Tutto ciò in sostanza conferma come la temibilità del fenomeno brigantesco in Capitanata non derivasse tanto dalle sue basi di massa quanto dalla peculiare condizione geografico-strategica del Tavoliere.
FRANCESCO BARRA
PAOLO CARUSI, Superare il trasformismo. Il primo ministero di Kudinì e la questione dei partiti nuovi ; Roma, Edizioni Studium, 1999, in 8, pp. 320. L. 40.000.
Credo che si possa affermare che vi è un momento fondamentale di svolta nella storia europea che la storiografia italiana non ha studiato e approfondito in tutti i suoi aspetti con l'attenzione che merita. Anche indipendentemente dal dibattito circa l'inizio della storia contemporanea, è certo che la fine dell'età bismarckiana coincide con mutamenti significativi tanto a Livello dei rapporti intemazionali quanto a quello dei movimenti politico-sodali (elitari e di massa ) all'interno di molti paesi.
L'autore di questo libro pone l'accento sulle conseguenze di quella svolta sulla storia parlamentare e governativa italiana. Lo stesso Crispi, che tanto era legato al sistema bismarckiano, sentiva nel 1890 i segni del disgregarsi del mondo entro il quale egli aveva potuto raggiungere i vertici del potere e ottenere un larghissimo consenso. Quando questo venne a mancare, nel gennaio del 1891, si aprì una fase nuova, che immediatamente si concretizzò con la formazione del primo governo di Rudinì, con l'avvento cioè di un ministero guidato dal massimo esponente della Destra dopo quindici anni d'ininterrotto potere della Sinistra. E c'è da chiedersi perché nessuno abbia studiato questo momento e il primo tentativo di alternanza in vista di una chiara distinzione fra due grandi partiti politici italiani.