Rassegna storica del Risorgimento

Risorgimento. Storiografia
anno <2001>   pagina <14>
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Franco Della Peruta
cantato da alcuni repartì combattenti durante le difese delle repubbliche di Roma e Venezia, anche se non divenne la Marsigliese italiana.
Verdi, che nella lettera a Piave già ricordata aveva dichiarato di voler essere non un soldato ma un tribuno della causa nazionale,36) alla fine di maggio tornò in Francia; e assistette quindi di lì al declino delle sorti italia­ne, dalle sconfìtte della guerra regia al soffocamento della resistenza di Roma e di Venezia. Ma anche se lontano dalla patria continuò a seguire con una appassionata e sempre più dolente partecipazione gli avvenimenti della penisola. Cosi, quando gli austriaci di Radetzky erano già rientrati da qual­che giorno a Milano, sottoscrisse con altri italiani presenti a Parigi l'indi­rizzo presentato l'8 agosto a Jules Bastide e Louis-Eugène Cavaignac (mini­stri della Repubblica francese rispettivamente agli esteri e alla guerra) dal rappresentante in Francia del Governo provvisorio lombardo, Anselmo Guerrieri Gonzaga, per chiedere l'aiuto delle armi francesi.37)
L'atteggiamento della Seconda Repubblica nei confronti degli affari ita­liani deluse però presto Verdi. Questi il 24 agosto confidava infatti alla contessa Maffei che i francesi gli sembravano indifferenti o contrari alla causa dell'Italia, e che non sperava perciò in una collaborazione militate della Francia. Quanto poi a un intervento diplomatico congiunto franco-inglese, l'eventualità gli appariva pericolosa e al tempo stesso vergognosa per i suoi connazionali, perché nella migliore delle ipotesi avrebbe lasciato il Veneto all'Austria. E di conseguenza a suo giudizio si doveva fare affida­mento soltanto su una guerra d'insurrezione, quella guerra che fino ad allora non era stato possibile avviare e che avrebbe consentito di fare a meno dei sovrani e delle potenze estere: Iddio ci salvi concludeva il musicista confermando così le sue propensioni repubblicane del momento d'aver confidenza nei nostri re e nelle nazioni straniere ?s)
L'avvilimento che si era impadronito dell'animo di Verdi dopo le vitto­rie austriache e l'armistizio Salasco gli ispirarono nella seconda metà del 1848 sfoghi amari con i suoi amici più intimi, come la contessa Maffei; e a questa il 3 ottobre indirizzava una lettera in cui, dopo aver ribadito che la povera Italia non doveva assolutamente far conto sulle promesse stranie­re e sugli intrighi diplomatici, con il conseguente prolungamento dell'ar­mistizio fra Carlo Alberto e Radetzky , così concludeva: Intanto la Lom­bardia diventerà un deserto, un cimitero. Dopo si dirà che la nazione,
*>) A. BONAVENTURA, Una ietterà di Giuseppe Verdi cit, pp. 16-18.
s7) ALESSANDRO Li) ZIO, Giuseppe Verdi e Anselmo Guerrieri Gonzaga, in Gaietta di Mantova, Mantova, 1901, n. 28, e J copialettere cit., pp. 466-467.
*0 ì copialettere cit, pp. 467-468.