Rassegna storica del Risorgimento

Italia. Garibaldini. Secolo XIX
anno <2001>   pagina <58>
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Viviana Bravi
gamento. Chi può descrivere l'avvilimento di tutti noi per quella marcia che non era altro che una ritirata? annota Valentino Il malcontento era generale. Si cercava di persuaderci che i nostri avamposti al Ponte No-mentano e lungo il Tevere erano troppo vicini a Roma e che non era possibile sostenere una battaglia con forze molto superiori .
I volontari si sentivano traditi ed i mazziniani che erano riusciti nel loro intento a seminare diffidenze e sospetti approfittarono di questo males­sere per accrescere il malcontento. Misero in subbuglio la nostra compagnia e cominciò a ventilare l'idea dell'abbandono per non dire della diserzione.
La de/edotte mammana
Giunti a Monterotondo, alcuni amici informano Valentino della pre­senza del dott. Bertazzoni, lughese, che voleva salutarlo. Domenico Bertaz­zoni fu il primo presidente della locale Società di Mutuo Soccorso. Lo trovai a colloquio con alcuni capi del partito mazziniano ed il conte Bolis. Io udii che si parlava dello sbarco dei francesi, delle milizie italiane che avevano passato il confine .
II quaderno prosegue poi raccontando un doloroso episodio: A Lugo i capi dei mazziniani rimasti a casa, dove si mangiava bene e si dormiva meglio, salvando la pelle dalle palle e dalle baionette, certo dott. Luigi Pirazzoli, dott. Ferdinando Morandi, Lanzoni, Valvassori ed altri si incarica­rono di avvisare i garibaldini lughesi di ritornare a casa, si intromisero in casa del dott. Domenico Bertazzoni, uomo distintissimo, stimato ed amato da tutto il paese e che contava tre fratelli con noi, ma di principi molto moderati, perciò facili a persuadere del come fosse bene che si ritornasse a casa. Tanto seppero dimostrargli lo sbaglio di continuare la marcia verso Roma, adducendo che questo era anche il volere di Mazzini, il quale non conveniva su questo moto insurrezionale sempre secondo questa versio­ne , e che l'esercito italiano aveva già passato il confine, per cui questi volontari si sarebbero sacrificati inutilmente, tanto più dicevano che era sbarcata una divisione di Francesi a Civitavecchia.
In realtà Mazzini non sconfessò mai questa impresa, anche se alcuni esponenti del suo partito, in buona o in malafede, incitarono i volontari a rinunciare all'impresa stessa in nome del Maestro. Le difficoltà della campa­gna, le pessime condizioni atmosferiche, la caduta di ogni speranza nella vittoria, fecero sì che le diserzioni aumentassero di giorno in giorno, favori­te anche dalla eterogeneità dei volontari: mazziniani, socialisti, anarchici, monarchici. A tutto questo va aggiunto il proclama del re che sconfessava la spedizione e molti temevano le conseguenze per essere considerati ribelli.