Rassegna storica del Risorgimento

BERTINORO ; AURELIO SAFFI ; ONORANZE
anno <2002>   pagina <97>
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Labri e periodici 97
giurista napoletano il padre di una rivoluzionaria dottrina internazionalistica che an­cora oggi continua a suscitare grande interesse.
Certo, gli studi sinora dedicati alla complessa personalità di Mancini (ricordia­mo in particolare quelli Emilia Morelli, Federico Chabod, Arturo Carlo Jemolo, Gio­vanni Spadolini, Antonio Villani, Carlo Zaghi e Erik Jayme) hanno tracciato un quadro ben preciso dei suoi aspetti più conosciuti (giurista, avvocato, professore universitario, deputato, ministro) e meno conosciuti (poeta, musicista, scienziato, giornalista e traduttore); tuttavia il punto principale sul quale vi è sempre stata una convergenza d'interesse su Mancini è sicuramente rappresentato dal rapporto tra le sue concezioni di diritto internazionale pubblico (e privato) e il movimento risorgi­mentale. In Mancini è pressoché impossibile separare l'azione politica dall'attività accademica e forense che costituì sempre il fondamento sul quale si mosse la sua vita di deputato e di ministro del Regno d'Italia.
In questo contesto si colloca l'opera della studiosa giapponese Yuko Nishitani, professore associato di Diritto Internazionale Privato presso la Graduate School of Law della Tohoku University di Sendai. Il suo volume ha come oggetto principale la teoria di Mancini sulTautonomia delle parti nel diritto intemazionale privato. La questione risulta infatti di particolare rilevanza nel momento in cui si assiste, nel­l'attuale sistema di rapporti giuridici internazionali, ad un ampliamento degli ambiti di applicazione di questo istituto, come necessaria soluzione agli inevitabili conflitti che scaturiscono dal confronto tra soggetti appartenenti ad ordinamenti diversi e dal conseguente conflitto tra le norme di diritto privato. L'autrice nel trattare l'argo­mento ripercorre le principali tappe della vita del Mancini e fornisce degli interessan­ti dati che permettono al lettore di comprenderne la storia e il sostrato culturale che si è poi riflesso nell'attività accademica e nella formulazione delle sue teorie sulla quale si è basata anche la successiva esperienza politica e ministeriale. A questo ri­guardo la Nashitani si è avvalsa non solo della vasta bibliografia esistente sul Manci­ni vagliata dall'autrice con grande attenzione, ma anche e soprattutto sui fondi ar­chivistici conservati presso il Museo Centrale del Risorgimento (illustrati in questa rivista da Emilia Morelli nei numeri XXVIII, 1941, I, pp. 100-103; LXX, 1983, III, pp. 321-326; LXX, 1983, IV, pp. 464-469, ora in E. Morelli, I Fondi Archivistici dei Museo Centrale del Risorgimento, a cura di F. Barroccini, F. Fonzi, C. Ghisalberti, V.E. Giumella, G. Talamo, M.L, Trebiliani, Roma, La Fenice Edizioni, 1993, pp. 59-64, 333-340, 342-348), in particolar modo i manoscritti delle lezioni tenute dal Mancini nel 1852, nel 1854-55, nel 1862 all'università di Torino e nel 1874-75, nell'università di Roma.
Come osservato dall'autrice la vocazione alla carriera di giurista si manifestò in Mancini sin dalla giovane età, quando a Napoli consegui nel 1835 il diploma in Giu­risprudenza e iniziò la sua brillante carriera forense che lo avrebbe portato a guada­gnarsi, in poco tempo, la fama di più noto avvocato della città. Mancini iniziò presto ad allargare i suoi ambiti di competenza dal diritto civile, al diritto internazionale, al diritto penale, sino alla filosofìa del diritto. Il primo contatto con quest'ultima disciplina fu favorito dall'amicizia con Terenzio Mamiani (uno dei tanti personaggi famosi dell'epoca con i quali Mancini intratteneva una intensa corrispondenza cpisto-