Rassegna storica del Risorgimento

"FIGLIUOLI DELLA GIOVINE ITALIA"; MUSOLINO BENEDETTO JUNIOR ; SE
anno <1923>   pagina <866>
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866 Giuseppe Paladino
Venne poi la volta del Settembrini, ohe insistette sulla fal­sità delle dichiarazioni fatte dal Barbuto, attribuendogli la con­traffazione della sua scrittura. Dette la colpa della disgrazia toccatagli al principe di Giardinelli, e, quando si lessero le de­deposizioni dei testimoni, che lodavano l'onestà di sua moglie, esclamò: E questo il mio peccato . Infine a dimostrare la fa­cilità, con cui si può imitare la scrittura di una persona, esibì tre lettere, che apparivano di pugno dello stesso Presidente, il Girolami. Vostro ne appare il carattere diss'egli eppure non si sono seritte da voi. Vedete, aggiunse, se ho ragione di dire che false siano le carte criminose a me attribuite . Que­sto artifizio fu il colpo finale.
Terminate le difese degl'imputati (ultimo a parlare fu l'E-scalonne, che quella volta mantenne la ritrattazione fatta), la Commissione suprema si ritirò per deliberare ed emanò la sen­tenza il 5 luglio 1841. Il Procuratore Generale aveva chiesto la condanna di Benedetto Musolino, del Settembrini e dell'Ana­stasio e che gli altri tre, Pasquale Musolino, il RicciardelJi e l'Escalonne, andassero assolti (1). La Commissione, letti gli atti, osservò che la denunzia dello Sciplini appariva inverosimile: quale prova che egli conoscesse il capo dell'associazione? Sopra­tutto i giudici deplorarono la mancata presentazione della com­mendatizia al Granchi, designato come corrispondente da Roma. Vedemmo come la Polizia giustificava l'omissione di quel docu­mento. Di eguale inverosimiglianza si attaccava la denunzia del prete: il suo atteggiamento contradittorio in principio (spiega­bile con la paura di trovarsi coinvolto nell'accusa di settarismo), le pessime relazioni sulla condotta di lui pervenute dalle auto-torità ecclesiastiche fornirono argomento alla Commissione per non tener conto delle sue dichiarazioni. Facilissimo fu fare al­trettanto per l'Escalonne, che non si sarebbe mai dovuto pren­dere sul serio. Anche le rivelazioni del servo Marramao furono ritenute false. Perchè si era aspettato un mese ad interrogarlo? La legge fissa il termine di Ventiquattro ore per l'interroga- torio degl'imputati: tale uso ò atto a prevenire le suggestioni e le subdole risposte degl'imputati stessi, che spesso per tedio di carcere non dicono il vero . Pareva strano alla Commissione che il Marramao possedesse in carcere la somma di settanta ducati,
(1) La storiella narrata dal SBITUMBRINI (Bieordonu/6f.tfStB) è fìùsa.